La storia dell'arte

L'arte romana


La scultorea romana

AUGUSTO DI PRIMA PORTA

L'imperatore è raffigurato in piedi, con il braccio destro alzato e il gesto di attirare l'attenzione: si tratta della posa con cui si richiedeva il silenzio prima dell'adlocutio (incitamento all'esercito prima della battaglia).

La figura indossa una corazza riccamente decorata, al di sotto della quale porta la tunica corta militare. Un paludamentum (mantello che insieme al parazonium era il simbolo del generale romano quando comandava un esercito) gli avvolge i fianchi, ricadendo mollemente sulla mano sinistra, con un panneggio particolarmente elaborato. Nella stessa mano impugna la lancia. Sulla gamba destra è riportato un bambino: Eros, a cavallo di un delfino. Eros era figlio di Venere e il delfino è un omaggio a Venere, simboleggia infatti la nascita della dea avvenuta dall'acqua. Infatti Augusto apparteneva alla gens Iulia, che si riteneva discendere da Venere, madre di Enea, tramite il figlio di questi Ascanio o Iulo.

L'imperatore è ritratto, almeno nel volto, con le sue reali fattezze, anche se idealizzate nella celebrazione della sua carica.

L'iconografia della statua è spesso stata accostata a certe immagini evocate dal Carmen saeculare di Orazio. D'altronde, se prendiamo come vera l'ipotesi della realizzazione della statua durante l'impero di Augusto e non durante quella di Tiberio, le due opere sono abbastanza contemporanee. Il Carmen infatti fu letto pubblicamente per la prima volta nel 17 a.C. durante i Ludi Saeculares, voluti dall'imperatore per celebrare la venuta della nuova Pax romana e dell'età dell'oro già preannunciata da Virgilio nella IV ecloga.

La corazza è aderente, facendo risaltare il fisico atletico che ricorda le sculture greche di certi eroi.

Grande importanza simbolica hanno i rilievi che la decorano, con particolare riferimento alla storia contemporanea e all'ideologia di Augusto. Vi sono raffigurati:

in alto una personificazione di Caelum;

sotto di esso vola la quadriga di Sol;

procedendo verso destra si trova la Luna quasi completamente coperta da l'Aurora (un'altra interpretazione vuole che al posto dell'Aurora sia rappresentato il dio della luce del mattino Phosphorus);

al centro è raffigurata la scena del re dei Parti Fraate IV che restituisce le insegne catturate ai Romani dopo la sconfitta di Crasso; è presumibile che il generale romano raffigurato con ai piedi un cane (probabilmente un lupo, simbolo per eccellenza di Roma oppure, come fatto notare dall'archeologo Ascanio Modena Altieri, una lupa, nutrice di Romolo e Remo),[2]) sia Tiberio, visto che proprio lui partecipò alla campagna partica. Ma non è da escludere che si tratti dello stesso Augusto o di un imberbe dio della guerra Marte vendicatore. Altra ipotesi lo identifica come l'incarnazione fisica delle legioni e del legionario ideale;

ai due lati si trovano due donne che piangono. Quella a destra tiene in mano uno stendardo, su cui è raffigurato un cinghiale e la tipica tromba celtica a forma di drago, il carnyx. Quella a sinistra, colta in atteggiamento di sottomissione, porge un parazonium. È possibile che la prima rappresenti le tribù celtiche del Nord-Ovest della Spagna, Asturi e Cantabri, che erano state conquistate da Augusto, oppure la Gallia stessa che sempre dall'imperatore era stata riorganizzata e pacificata tra il 12 e l'8 a.C.; la seconda invece, non essendo completamente disarmata, potrebbe raffigurare le tribù germaniche situate tra il Reno e l'Elba che comunque sarebbero presto state oggetto di conquista oppure i regni dell'Oriente ellenistico, clienti di Roma;

al di sotto delle due figure di donna sono Apollo e Diana, rispettivamente su di un grifone e su di un cervo;

in basso si trovano la dea Tellus, simbolo di fertilità, semisdraiata e tenente un corno (o cornucopia) colmo di frutta, e due neonati che si afferrano alla veste della dea (tale raffigurazione ha molte somiglianze con la Tellus Mater dell'Ara Pacis).

L' ARA PACIS

L'Ara Pacis Augustae (Altare della pace di Augusto) è un antico altare fatto costruire a Roma nel 9 a.C. dal primo imperatore romano Augusto, dedicato alla Pace[1] (in latino Pax, nell'accezione di divinità).

Originariamente posto in una zona del Campo Marzio consacrata alla celebrazione delle vittorie, il luogo era emblematico perché posto a un miglio romano (1.472 m) dal pomerium, limite della città dove il console di ritorno da una spedizione militare perdeva i poteri ad essa relativi (imperium militiae) e rientrava in possesso dei propri poteri civili (imperium domi).

Questo monumento rappresenta una delle più significative testimonianze pervenuteci dell'arte augustea e intende simboleggiare la pace e la prosperità raggiunte come risultato della Pax Romana.L'aspetto dell'Ara Pacis è stato ricostruito grazie alla testimonianza delle fonti, agli studi durante gli scavi e alle raffigurazioni su alcune monete romane.

L'Ara Pacis è costituita da un recinto quasi quadrato in marmo (m 11,65 x 10,62 x h 3.68), elevato su basso podio, nei lati minori del quale si aprivano due porte, larghe 3,60 metri; a quella anteriore si accede da una rampa di nove gradini; all'interno, sopra una gradinata, si erge l'altare vero e proprio. La superficie del recinto presenta una raffinata decorazione a rilievo, esterno e interno. Nelle scene la profondità dello spazio è ottenuta mediante differenti spessori delle figure.

Quattro pilastri (detti paraste) angolari corinzi, più altri quattro ai fianchi delle porte, sono decorati sull'esterno da motivi a candelabra e lisci all'interno. Essi sostengono l'architrave (interamente ricostruita, senza parti antiche) che, secondo le raffigurazioni monetarie, doveva essere coronata da acroteri laterali.

L'Ara Pacis è un monumento chiave nell'arte pubblica augustea, con motivi di origine diversa: l'arte greca classica (nei fregi delle processioni), l'arte ellenistica (nel fregio e nei pannelli), l'arte più strettamente "romana" (nel fregio dell'altare). L'aspetto era quindi eclettico e la realizzazione fu certamente opera di botteghe greche.

L'aspetto politico-propagandistico è notevole, come in molte opere dell'epoca, con i legami evidenti tra Augusto e la Pax, espressa come un rifiorire della terra sotto il dominio universale romano. Inoltre è esplicito il collegamento tra Enea, mitico progenitore della Gens Iulia, e Augusto stesso, secondo quella propaganda di continuità storica che voleva inquadrare la presa di potere dell'imperatore come un provvidenziale ricollegamento tra la storia di Roma e la storia del mondo allora conosciuto. Non a caso i Cesari Gaio e Lucio sono abbigliati come giovanetti troiani, così come è illuminante l'accostamento tra il trionfo di Roma e la Saturnia Tellus, l'età dell'oro.

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